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Diritti umani in Africa
di Natalizia Lupi
Le violazioni dei diritti umani in
Africa non attirano generalmente l'attenzione della stampa
occidentale a meno che, come accade in questo periodo in Zaire
con l'esodo in massa dei profughi, gli eventi non abbiano una
grande portata umanitaria o richiedano l'intervento delle
forze ONU per superare una situazione particolarmente
drammatica.
Una giornalista di Amnesty International traccia per
"Africa" l'attuale situazione generale.
Un panorama riassuntivo
Nella maggior parte dei paesi africani la
tragedia delle violenze e degli abusi si consuma
quotidianamente, nella routine delle carceri e dei tribunali,
tra il silenzio della popolazione terrorizzata e
l'indifferenza della comunità internazionale. Questi abusi
sistematici vengono tuttavia ignorati dai mezzi di
comunicazione di massa che tendono a privilegiare le immagini
di impatto, gli interventi di emergenza ed il "drammaspettacolo".
Dal punto di vista politico e sociale il continente africano
è caratterizzato da situazioni molto diverse: conflitti
etnici nella regione dei Grandi Laghi, in Angola, contro gli
Ogoni in Nigeria, in Kenya e in Costa d'Avorio; governi
militari, come in Gambia; situazioni di conflitto interno in
Liberia, Uganda e Ciad; clima di repressione politica in
Burkina Faso, Camerun, Sudan e Swaziland. Fortunatamente, ci
sono però anche delle situazioni positive: la Guinea, per
esempio, sta consolidando la transizione verso la democrazia e
il Malawi ha adottato nel maggio 1995 una nuova costituzione e
una Carta dei Diritti.
Sotto il profilo della violazione dei diritti umani emerge
però un filo conduttore comune che lega tutti questi Stati e
numerosi altri, tra i quali i 34 Paesi che mantengono in
vigore la pena di morte. Sono infatti praticate un po' ovunque
le esecuzioni extragiudiziali, diventate ormai uno strumento
diffuso della politica di repressione dei governi e dei gruppi
di opposizione armata; il ricorso alla pratica della tortura,
che continua ad essere largamente utilizzata nei confronti dei
prigionieri politici, quando questi non sono già vittime di
"sparizioni"; gli arresti arbitrari di giornalisti,
sindacalisti, attivisti per i diritti umani e la limitazione
della libertà di espressione. Tutto questo accade anche dove
la legalità sembra rispettata. In alcuni Paesi questi abusi
avvengono proprio in nome di una presunta legalità.
I prigionieri politici
In Ciad, le violazioni dei diritti umani
continuano a rimanere impunite. Molte persone che hanno
espresso il proprio dissenso nei confronti del governo sono
state arrestate dalle autorità militari e dall'ANS (L'Agenzia
per la Sicurezza Nazionale). Gli arrestati sono sospettati di
appartenere a gruppi di opposizione armata. Tra i detenuti vi
sono sindacalisti, giornalisti e attivisti per i diritti
umani. La libertà di espressione in Ciad non è un diritto
scontato. Nel maggio 1995, un articolo apparso sul quotidiano
N'Djamèna Hebbo, esprimeva pesanti critiche nei confronti
dell'esercito: un mese dopo, agenti dell'ANS hanno perquisito
gli uffici del giornale e aggredito brutalmente alcuni membri
dello staff. Il direttore editoriale, Yaldet Begoto Oulatar, e
un giornalista, Nassar Baloa, sono stati picchiati con cavi
elettrici e bastoni prima di essere portati nel quartiere
generale dell'ANS, dove sono stati interrogati e nuovamente
maltrattati. Anche in questo caso, sono stati rilasciati dopo
qualche giorno, senza nemmeno un'accusa formale che
"giustificasse" il loro arresto.
In Zimbabwe, chi esprime critiche nei confronti del governo
rischia di essere incriminato per diffamazione. Nell'agosto
del 1995, tre giornalisti del Financial Gazete sono stati
arrestati in base a questa accusa e trattenuti per due giorni.
In seguito al rilascio la pena detentiva è stata commutata in
pena amministrativa. Episodi del genere si sono verificati
anche in Swaziland, dove sette membri di un'organizzazione di
opposizione (Il Movimento Democratico Unito del Popolo) sono
stati arrestati nell'aprile del 1995, dopo aver partecipato ad
una dimostrazione tenuta a Mbasheni per protestare contro la
sospensione della Costituzione del 1973. Gli accusati sono
stati rilasciati su cauzione ma alla fine dell'anno il loro
caso giudiziario non si era ancora definitivamente chiuso.
Lo scorso anno in Etiopia almeno 40 giornalisti sono stati
arrestati. Alcuni di essi sono stati rilasciati quasi
immediatamente, mentre altri sono stati multati o sottoposti a
pene detentive, sospese con la condizionale.
In Costa d'Avorio invece, almeno 25 sostenitori del partito di
opposizione sono stati arrestati e condannati a pene detentive
da sei mesi a un anno, in base a una legge del 1992, secondo
cui chiunque organizza un raduno è ritenuto responsabile
degli eventuali episodi di violenza, a prescindere dal suo
coinvolgimento personale. E' evidente che una disposizione del
genere lascia ampio spazio alla discrezionalità del governo,
e può facilmente prendere di mira gli oppositori politici. E'
accaduto proprio così il 20 settembre dell'anno scorso,
quando cinque esponenti dello stesso partito sono stati
arrestati e condannati a pene detentive per aver partecipato
ad una manifestazione di protesta. Non vi erano alcune
indicazioni che provassero il loro coinvolgimento negli
scontri avvenuti in seguito alla manifestazione.
In Camerun, torturare i detenuti per motivi di opinione è
talmente frequente che è diventata una prassi di
"normale" routine. Tra i numerosi casi riportati nei
documenti di Amnesty International, vi è quello
dell'esponente di un'associazione non governativa, arrestato
per aver tentato di difendere un uomo picchiato dalla polizia.
Entrambi gli uomini sono stati successivamente portati in
carcere e bastonati sulle piante dei piedi. Anche in Camerun,
come nella maggior parte dei paesi africani, le condizioni di
vita nelle carceri sono drammatiche a causa dei
maltrattamenti, del sovraffollamento e del diniego di cure
mediche. In Gambia, un ex ufficiale delle forze armate è
morto in carcere nel mese di giugno del 1995, probabilmente a
causa delle torture subite e del prolungato stato
d'innalzamento della pressione. Nello stesso anno in Guinea,
alcuni attivisti dell'opposizione, arrestati poco prima
dell'elezioni di giugno, hanno dichiarato di avere subito
maltrattamenti da parte delle forze di sicurezza.
Le violazioni dei diritti umani e i
conflitti etnici
Dove sono in atto i conflitti etnici la
situazione dei diritti umani è particolarmente a rischio.
Oltre alla zona dei Grandi Laghi, le aree calde sono la
Nigeria, La Somalia, il Kenya e la zona occidentale della
Costa d'Avorio.
Le radici dei conflitti etnici, che ancora oggi travagliano
l'Africa, risalgono al periodo della colonizzazione, quando i
paesi colonizzatori imposero confini arbitrari per la
costituzione delle colonie, separando le etnie locali o
imponendo l'unione forzata. In seguito al processo di
decolonizzazione, avvenuto soprattutto tra gli anni '60 e '70,
per motivi di stabilità politica i nuovi Stati indipendenti
decisero di mantenere i confini così stabiliti.
Gli interventi delle Nazioni Unite, spesso tardivi e limitati
alla logica dell'intervento umanitario, non riescono a
garantire un'efficace tutela dei diritti umani, come ha
dimostrato la fallimentare operazione della forza di
"pace" in Somalia. C'è poco da stupirsi però, dato
che le Nazioni Unite sono costituite da quegli stessi Stati
che ancora oggi hanno pesanti responsabilità nel sostenere il
commercio delle armi verso i paesi africani. Amnesty
International si è recentemente rivolta a tutti quei governi
- Belgio, Francia, Germania, Stati Uniti, Egitto, Gran
Bretagna ed Israele - che in passato hanno fornito armi o
equipaggiamenti militari alle varie fazioni che operano nella
regione dei Grandi Laghi, e ha chiesto loro di usare la
propria influenza per porre fine alle violazioni dei diritti
umani, proteggere i rifugiati e trovare una via di uscita al
massacro in corso.
L'emergenza nella regione dei Grandi Laghi
L'esodo delle migliaia di rifugiati che in
queste settimane si lasciano alle spalle lo Zaire per tornare
nei loro paesi di origine, in Ruanda e in Burundi, ripropone
il problema di assicurare la tutela dei diritti umani nella
regione dei Grandi Laghi. Una regione che in questi ultimi
anni è stata particolarmente segnata dai conflitti etnici. La
situazione dei diritti umani in Ruanda e Burundi continua ad
essere infatti critica: migliaia di persone sono rimaste
vittime di omicidi politici commessi dalle forze di sicurezza
o da gruppi di opposizione armata, spesso a causa della loro
origine etnica o della loro presunta appartenenza politica. In
Burundi, migliaia di prigionieri Hutu, arrestati prima e
durante il 1995, sono stati trattenuti senza processo perchè
sospettati di appoggiare i gruppi armati. In Ruanda, sono
oltre 62.000 le persone arrestate dal luglio 1994 e accusate
di aver partecipato al genocidio e commesso crimini contro
l'umanità, trattenute senza un'accusa formale in carceri
sovraffollate dove le condizioni sanitarie sono a dir poco
agghiaccianti: tra il luglio 1994 e la fine del 1995 sono
morti in carcere oltre 2.300 prigionieri a causa di
maltrattamenti, epidemie e negligenza medica.
Da entrambi i paesi continuano inoltre a giungere denunce di
esecuzioni extragiudiziali. Uno degli episodi più cruenti si
è verificato il 22 aprile 1995, nel campo sfollati di Kibeho,
dove l'esercito ruandese ha aperto il fuoco contro la folla
che rifiutava di trasferirsi in un'altra ubicazione. Il numero
dei morti - uomini, donne e bambini - varia da 360, secondo
fonti ufficiali, a migliaia di vittime secondo fonti non
governative. Numerosi anche i casi di "sparizioni",
ovvero persone scomparse in circostanze sospette, di cui si
sono perse le tracce. Tra questi c'era anche un giornalista
della radio della Missione delle Nazioni Unite per
l'Assistenza al Ruanda, Manassè Mugabo, "scomparso"
nell'agosto del 1995. L'uso della tortura contro i prigionieri
politici costituisce ormai una prassi.
Amnesty International denuncia anche i gruppi di opposizione
armata che si sono resi responsabili di uccisioni arbitrarie e
di abusi nei campi profughi, soprattutto nello Zaire, dove la
situazione peraltro non è molto diversa: decine di persone
detenute per motivi politici, tra cui funzionari pubblici,
sindacalisti e giornalisti. Continuano a giungere notizie di
maltrattamenti e torture nei confronti dei detenuti. La
minaccia di uno sciopero è bastato per fare arrestare 18
persone nella regione dello Shaba, il 18 luglio 1995.
Gli arrestati sono stati detenuti nel carcere di Lubumbashi
dove sono stati picchiati, frustati e feriti con coltelli e
baionette. Nel giro di due settimane, sono stati tutti
rilasciati senza un'accusa formale.
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