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Verso PRODOTTi e CONSUMI ALTERNATIVI
di Francesco Gesualdi
I marchi di garanzia sociale
Viviamo in un “villaggio di produzione globale”. Siamo diventati “consumatori di prodotti mondiali” ma dominati da forze economiche dove produzioni e condizioni di lavoro percorrono vie libere da qualsiasi regola ed ostacolo.
Il mezzo classico a disposizione dei consumatori per condizionare le imprese è il boicottaggio. Nella sua forma classica il boicottaggio è un invito a non comprare da una certa impresa, ma in certi casi va attuato in forma positiva, invitando i consumatori a comprare solo da alcuni produttori.
Il boicottaggio “positivo” è d’obbligo quando tutte le imprese di un settore sostengono un comportamento sbagliato. In questo caso il boicottaggio classico non può funzionare perchè la gente non saprebbe dove comprare e finirebbe per aderire solo chi è disposto a rinunciare del tutto al prodotto in questione.
Per superare la difficoltà bisogna creare delle occasioni produttive e commerciali alternative, dopo di che si chiede alla gente di cambiare le proprie abitudini acquistando tramite i canali alternativi.
L’esempio più importante di boicottaggio positivo è il commercio equo e solidale che per molti anni non è mai entrato in contatto con gli operatori economici del commercio internazionale tradizionale.
Da qualche tempo, invece, sta guadagnando terreno anche nell’ambito del commercio tradizionale grazie all’introduzione dei marchi di garanzia sociale.
Il Boicottaggio “positivo”
I tentativi da parte dei consumatori di
esercitare la loro influenza sulle imprese produttive sono
sempre stati faticosi e dal processo molto lento. L’idea che
il commercio, nel perseguire il profitto, debba essere capace
di onestà, giustizia e solidarietà non è ordinariamente
accreditata dagli operatori economici del commercio
tradizionale. Specie internazionale. Viene sempre più sentita
invece e diffusa dai consumatori che la sintetizzano nell’espressione
“Commer-cio Equo e Solidale”. E’ senz’altro un
incentivo utile vedere come sono nati in passato dei tentativi
di “boicottaggio” volti a creare occasioni produttive e
commerciali alternative. Ripresi come validi anche oggi.
Negli Stati Uniti era nata da parte del sindacato l’idea dei
marchi di garanzia sociale. Dal marchio i consumatori capivano
che quei prodotti erano stati ottenuti nel rispetto degli
accordi sindacali e li preferivano rispetto agli altri.
Agli inizi del 1900 questa stessa idea fu ripresa in Svizzera
dalla Lega Sociale dei Compratori, una organizzazione fondata
nel 1906 su suggerimento dell’Alleanza delle Associazioni
Femminili Svizzere. Nel 1911 la Lega Sociale dei Compratori
assegnò per la prima volta il suo marchio a 7 sartorie che
avevano stipulato un contratto collettivo con le loro
lavoratrici a domicilio. Durante la prima guerra mondiale, l’iniziativa
fu accantonata, ma in seguito fu di nuovo riconsiderata e nel
1942 venne fondata l’OSL, Organizzazione Svizzera Label (in
inglese “marca”, “etichetta”). Il marchio dell’OSL
consisteva in un alberello stilizzato ed era assegnato a ditte
che si attenevano a determinate condizioni di lavoro e di
retribuzione. Le ditte che nel 1948 potevano esporre il
marchio OSL erano 132. Con il boom economico le condizioni
salariali in Svizzera migliorarono e le direttive dell’OSL
non avevano più molto senso. Fu sciolta nel 1968.
Nuove alleanze
Oggi, tuttavia, i marchi di garanzia sociale
stanno riprendendo vigore a livello mondiale. A riscoprirli è
stato il Commercio Equo e Solidale. Esso, detto anche
commercio alternativo, ha come principio di fondo garantire ai
contadini del Sud del mondo prezzi equi per i prodotti
esportati. Contrariamente a quanto avviene nel commercio
tradizionale dominato da commercianti locali ed internazionali
che esercitano una mediazione strangolatrice.
La proposta, partita dall’Olanda 30 anni fa e rapidamente
ripresa dal resto d’Europa, è quella di comprare
direttamente dai contadini e dagli artigiani del Sud del
mondo, in modo da far godere a loro tutto il prezzo pagato. Un
prezzo equo, naturalmente, stabilito dai produttori stessi
perchè nessuno meglio di loro sa qual’è la giusta
retribuzione.
Nella sua forma originale questo tipo di commercio prevede che
nei paesi del Nord si creino delle cooperative di importazione
che vendono al dettaglio tramite botteghe particolari aperte
da gruppi terzomondisti. Come partenza, questa impostazione è
stata geniale, ma col tempo ha dimostrato di non poter
conquistare larghe fette di mercato, perchè non raggiunge
tante persone. Per questo, alcuni anni fa, in Olanda, le
cooperative di importazione si presentarono ai supermercati e
alle botteghe tradizionali, chiedendo di poter diventare loro
fornitori. Ma la proposta non fu accolta perchè i
dettaglianti non hanno interesse ad abbandonare marche
affermate e sorrette da molta pubblicità per passare a marche
semi sconosciute.
Constatato che l’ingresso ai supermercati per la porta
principale era sbarrato, qualcuno ha pensato che si poteva
passare da quella di servizio: bastava convincere i normali
grossisti a rifornire essi stessi i supermercati con i
prodotti del commercio equo e solidale!
Ma come fare per garantire al tempo stesso prezzi equi ai
contadini del Terzo Mondo e profitti ai grossisti del Nord del
mondo?
A prima vista queste esigenze sembrano inconciliabili, ma l’esperienza
e vari altri sondaggi hanno dimostrato che esiste una quota di
consumatori, disposta anche a pagare prezzi più alti pur di
consumare i prodotti ottenuti in condizioni di giustizia.
Questa dunque è stata la proposta fatta al mercato dei
grossisti: commercializzare dei prodotti un po’ più cari
che avessero l’esclusiva dell’equità.
Con il caffè
A scopo sperimentale fu deciso di partire dal
caffè e nel 1989 in Olanda venne creato un marchio di
qualità denominato Max Havelaar, dal titolo di un libro del
1800, scritto per protestare contro il trattamento riservato
agli indigeni delle colonie olandesi.
Max Havelaar nè compra nè vende. Fornisce informazioni alla
gente, alle autorità ed alle organizzazioni di sviluppo e dei
consumatori.
Identifica cooperative di produttori e mantiene contatti con
loro. Esercita pressione sui centri decisionali per far
cambiare le regole del commercio internazionale. Ma
soprattutto tenta di far penetrare il suo marchio di qualità,
controlla che ogni relazione tra grossisti e cooperative che
fanno parte della rete Max Havelaar si at-tengano alle regole
prescritte e verifica che fra le parti non vengano commesse
scorrettezze.
Attraverso la sua struttura di controllo Max Havelaar
garantisce al consumatore che tutto il caffè in vendita,
recante il suo marchio, è stato acquistato in condizioni di
equità.
L’esempio Max Havelaar ha fatto scuola ed oggi anche in
altri paesi europei sono stati creati dei marchi di garanzia
sociale per commercializzare i prodotti del Commercio Equo e
Solidale attraverso i canali di vendita tradizionali. Anche in
Italia ne è stato creato uno che si chiama “Transfair”.
Allo stato attuale funziona solo nell’ambito del caffè ed
è stato adottato soprattutto dalla Coop, ma si stanno facendo
tutti gli sforzi possibili per estendere il marchio anche ad
altri prodotti e per ottenere il coinvolgimento di altre
catene commerciali.
Con i tappeti
Intanto altri gruppi hanno adottato un
marchio di garanzia sociale per combattere la piaga del lavoro
minorile nei paesi dell’Asia meridionale.
L’iniziativa fa parte di una campagna internazionale contro
il lavoro minorile condotta da alcune organizzazioni dell’Asia
meridionale, dell’Europa e degli Stati Uniti. Nel 1992 la
South Asian Coalition on Child Servitude (Saccs) invita le
organizzazioni partner europee a impegnarsi in una campagna
per convincere i consumatori a richiedere ai produttori dei
tappeti “child-friendly” ovvero annodati senza lavoro
infantile. Una campagna di sensibilizzazione dei consumatori
viene lanciata in Germania da Saccs in collaborazione con le
tedesche Brot fur die Welt, Misercor e Terre des hommes. Da
allora la campagna si estende negli Stati Uniti e in Gran
Bretagna, dove Saccs lavora con Christian Aid e Anti-Slavery
International.
Dopo aver resistito per anni alle pressioni, alcuni
fabbricanti di tappeti della All India Carpet Manufacturers
Association manifestano un interesse improvviso al dialogo con
gli attivisti sociali. Circa 30 produttori formano l’Associazione
di fabbricanti di tappeti senza lavoro infantile (Cmawcl)
accogliendo l’appello di Saccs per la creazione di un
marchio di garanzia sociale che garantisca il non utilizzo
minorile. Si forma quindi un gruppo di lavoro comprendente
oltre a Saccs e Cmawcl, anche il Progetto di promozione delle
esportazioni Indo-tedesco e funzionari delle ambasciate dei
paesi importatori.
Nell’ottobre 1994 nasce la Rug Mark Foundation come
associazione di promozione volontaria, privata e autonoma. Nel
gennaio 1995 viene lanciato ufficialmente il marchio Rug Mark.
I primi tappeti certificati sulla base dei criteri Rug Mark
sono presentati in Germania. Vari importatori di rilievo si
sono già impegnati ad importare solo tappeti Rug Mark una
volta disponibili.
Nei primi mesi del 1995 erano già più di 100 gli esportatori
indiani impegnati a rispettare le regole Rug Mark. Si pensa
che fra due o tre anni il 25% dei tappeti esportati dall’India
sarà coperto dal marchio. Quattro ispettori sono al lavoro
per i controlli.
I recenti sviluppi e l’ampia pubblicità data all’iniziativa,
oltre ad aver creato una grande domanda di tappeti indiani Rug
Mark, stanno preparando il terreno anche in altri paesi dell’Asia
del Sud che esportano i tappeti, soprattutto Nepal e Pakistan.
L’iniziativa Rug Mark è molto pubblicizzata e ritenuta
interessante dal punto di vista commerciale non solo in
Germania, ma anche negli altri maggiori paesi europei
importatori di tappeti asiatici: Gran Bretagna, Svezia,
Norvegia e Svizzera.
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