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Spiritualità missionaria in contesto
musulmano
Missione e Dialogo
di Claude Rault
Quando Gesù lascia Nazareth è per andare
incontro agli uomini e alle donne del suo tempo. Va
verso di loro anzitutto per intessere una relazione. Perché
Dio è relazione. Dio si esprime stabilendo dei legami con
l'umanità che crea. E quando Gesù intesse delle relazioni
con gli uomini e le donne del suo tempo, egli rivela Dio. La
Trinità non è un concetto, è anzitutto una realtà: una
relazione d'amore tra il Padre, il Figlio e lo Spirito.
In questo, in fondo, Gesù non fa che rispondere al richiamo
di tutto il suo essere: ricercare l'altro per vivere con lui
un'avventura basata sull'amore. Si potrebbe dire che per Lui
questo va da sé. Poiché sa di essere amato, va incontro
all'altro, per dirgli che Dio lo ama, che egli è prezioso ai
suoi occhi.
La missione del discepolo è nella stessa linea di quella di
Gesù. Anche il discepolo è l'uomo dell'incontro, della
relazione. Ed è appunto in questa direzione che si orienta la
missione in ambiente musulmano. Noi non siamo inviati per fare
nuovi adepti, ma per intessere coi nostri fratelli e sorelle
dell'Islam dei rapporti di amicizia, di stima e di
riconoscimento reciproco.
Noi, cristiani e musulmani, abbiamo sofferto secoli di
meschine rivalità, di lotte violente: guerre sante, crociate,
conquiste, riconquiste, colonizzazione e che altro ancora. Noi
non ci siamo ancora veramente incontrati. Noi rimaniamo più o
meno "sospetti" gli uni agli occhi degli altri.
Abbiamo bisogno di ritrovarci in profondità. Abbiamo bisogno
di relazioni vere, che non siano improntate di reciproca
diffidenza. Una distanza immensa ci separa, un abisso di
pregiudizi ci impedisce di raggiungerci. E' tempo ormai di
gettare dei ponti su questo abisso. E per farlo abbiamo
bisogno di entrare in relazione, tessere legami di amicizia e
di stima reciproca. Nella Chiesa questo procedimento lo
chiamiamo "Dialogo". Ma questa parola ha preso un
po' un significato "intellettuale". Se continuiamo
ad adoperarla, non bisogna separarla dalla vita, dalle persone
concrete che incontriamo. Il dialogo suppone l'esperienza di
un incontro vero, di una relazione vissuta nella gratuità:
quella dell'amicizia e della stima reciproca. E' un'esperienza
che comporta del rischio, bisogna ammetterlo. Non ci si può
impegnare ad occhi chiusi.
Vorrei condividere due atteggiamenti che mi hanno molto
aiutato in questa avventura dell'incontro.
Accogliere l'altro nella sua differenza
Questo presuppone già in partenza
l'accoglienza incondizionata dell'altro. La relazione vera è
una scuola di gratuità. Presuppone un atteggiamento positivo
nei confronti del partner. Perché l'incontro sia fruttuoso
devo abbandonare ogni tentativo, più o meno cosciente, di
circuirlo e ogni spirito di proselitismo. Devo rinunciare a
condurlo nel mio stesso campo. Non voglio dire con questo che
sia necessario abbandonare ogni desiderio di veder l'altro
scoprire il mio stesso tesoro, la mia fede.
Un hadith (tradizione riferita al Profeta Mohammed) afferma:
"Nessuno diviene credente se non desidera per il suo
prossimo quello che desidera per se stesso". Vorrei
illustrarlo con un esempio che vi si riferisce. Per parecchi
anni sono stato insegnante in un collegio di ragazze in
Algeria. Un giorno, dopo la lezione, un gruppo di giovani
allieve viene attorno al mio tavolo. E una di esse, la più
coraggiosa, mi dice, con una espressione di supplica:
"Signore, fate la Shahada"! (la professione di fede
musulmana). Le rispondo che non posso tradire la mia fede,
perché sono cristiano e mi sono impegnato nella via di Gesù.
Delusa e un po' in collera, mi risponde: "Allora, andrete
a bruciare nel fuoco dell'inferno!". Una delle sue
compagne si stacca allora dal gruppo e mi dice, davanti a
tutte le sue amiche: "Ebbene, se voi siete all'inferno e
che io sono in cielo... per Allah! Scenderò fino all'inferno
e verrò a prendervi!". Non sono stato per niente
sconcertato dall'invito della prima ragazza, ma confesso che
rimasi molto impressionato dalla dichiarazione della seconda.
Quelle giovani desideravano per me ciò che sembrava loro più
prezioso: la fede musulmana. Posso desiderare che l'altro
condivida la mia fede, pur rispettandolo. Ma una cosa è il
desiderio, anzi anche la testimonianza di ciò che io vivo,
altra cosa è il tentativo di utilizzare il rapporto
instaurato, per convertire l'altro alla mia religione. La
conversione è una cosa che spetta a Dio, che rispetta il
mistero della libertà umana.
Dobbiamo armarci di molta pazienza, perché i nostri partner
musulmani possono talora diffidare del nostro desiderio di
incontro. Alcuni ci rimproverano perfino di utilizzare il
dialogo come una nuova "campagna di
evangelizzazione"! Bisogna dunque andare verso l'altro
con un atteggiamento franco. Senza "secondi fini".
L'avvenire è di Dio. Egli farà dei nostri incontri quello
che vorrà. Se essi si svolgono nell'amore e nel rispetto
reciproco, Egli vi è già presente.
Ben radicati nella propria fede
Per costruire un ponte, bisogna prima mettere
le basi da parte e d'altra delle due rive. Il dialogo è un
ponte che si costruisce per andare incontro gli uni agli
altri. In questa impresa, tutti devono essere persone convinte
della propria fede. Questo è quanto di meglio noi possiamo
portare gli uni agli altri: la sincerità nella fede, nelle
nostre rispettive convinzioni; altrimenti non possiamo
costruire niente di solido... e il ponte rischia di crollare.
In ogni caso, posso dire che un musulmano sarà sensibile al
fatto di incontrare un interlocutore che sia altrettanto
rispettoso dell'Islam che della sua stessa fede.
Un altro aneddoto può illustrare bene questa affermazione. Il
collegio dove insegnavo era diretto da un uomo di grande fede.
Gli capitava anche spesso di presiedere alla preghiera del
venerdì nella grande moschea della città. Per ragioni
proprie alla mia congregazione ho dovuto lasciare il suo
istituto. Era deluso e sconvolto. Mi ha pregato di fare di
tutto perché fossi sostituito da un altro... Padre Bianco!
Gli chiesi allora perché ci teneva tanto. Mi rispose con una
sincerità ed un accento che mi confusero: "Avremmo tanto
voluto conservare questo legame con la Chiesa"...
Questo radicamento nella fede suppone anche che io sia
solidale con la mia Chiesa. Da parte cristiana, come da parte
musulmana, dobbiamo saper assumere i conflitti passati, le
violenze fatte in nome della religione e tante altre pagine di
storia che hanno lasciato tracce dolorose nelle relazioni
islamo-cristiane. Ma bisogna anche saper uscire dai vecchi
schemi del passato. E credere nell'avvenire.
Molti musulmani vivono una vera situazione di vergogna per
l'uccisione dei membri della Chiesa in Algeria. Anche noi
dobbiamo portare il peso degli avvenimenti della ex-Jugoslavia
e dei massacri della "purificazione etnica". La vera
amicizia e il perdono reciproco possono aprirci ad un avvenire
comune. Il dialogo, l'incontro con l'altro è un costante
invito alla "conversione reciproca".
Il dialogo, dice Mons. Tessier, arcivescovo di Algeri, mira
"a stabilire una vera comunione fra persone". E
continua dicendo: "La prima conversione che deve
realizzare il dialogo è quella che libera i due interlocutori
dai pregiudizi che essi nutrono nei confronti dell'altra
comunità".
Il cammino da percorrere ci può sembrare molto lungo. Ma
bisogna cominciare da qui.
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