|
Islam e Intesa
di Stefano Allievi
L'Islam, seconda religione in Italia,
è una realtà che prende sempre più consapevolezza del ruolo
e dei propri diritti nella nostra società. La richiesta di un
riconoscimento giuridico passa attraverso un'Intesa con lo
Stato Italiano. Da tempo troppi rumori disturbano il dibattito
in corso. "Africa" propone un'analisi, in due tappe,
delle diverse posizioni, musulmana e cattolica.
L'obiettivo del nostro interesse alla delicata questione è di
continuare a tessere legami di reciprocità validi per una
società, come quella italiana, che vive una fase di
trasformazione culturale.
L'Islam
italiano, per quanto giovane e in costruzione, ancora
all'inizio del proprio processo di istituzionalizzazione,
comincia ad organizzarsi e strutturarsi. Uno degli elementi
fondamentali di questo processo di costruzione è quello della
maturazione progressiva della consapevolezza del proprio ruolo
e, anche, dei propri diritti. Non stupisce dunque che, già da
qualche tempo, in quanto minoranza religiosa (per la
precisione, la più cospicua minoranza religiosa presente in
Italia), anche l'Islam abbia cominciato a richiedere il
riconoscimento del proprio statuto specifico. In particolare,
poiché in Italia il riconoscimento giuridico passa, per la
Chiesa cattolica, attraverso lo strumento privilegiato del
Concordato, e per le altre confessioni religiose attraverso
specifiche Intese con lo Stato, anche l'Islam, attraverso
alcuni suoi rappresentanti, ha chiesto di iniziare le
procedure per ottenere una propria Intesa.
La cosa, come del resto è comprensibile, ha suscitato
l'attenzione, oltre che dei due interlocutori, cioè le
organizzazioni islamiche e lo Stato stesso, anche della
pubblica opinione, e in particolare di quella cattolica, più
attenta e sensibile a queste tematiche. Il caso dell'islam
sembra dunque, più di altre Intese, fare notizia e suscitare
dibattito e reazioni, qualche volta scomposte. Ci limiteremo
comunque, in questa sede, ad alcune riflessioni sui rapporti
tra i musulmani e lo Stato, rinviando ad una successiva
analisi, che sarà pubblicata sul prossimo numero, un
approfondimento della posizione cattolica sull'Intesa.
La posizione dei musulmani: una realtà
plurale
Un primo testo di una possibile Intesa con lo
stato italiano è stato proposto dall'Ucoii (Unione delle
comunità e delle organizzazioni islamiche in Italia,
un'organizzazione federativa, che ingloba un certo numero di
moschee locali e di associazioni). Questo testo è l'unico ad
aver circolato abbastanza diffusamente. Inviato una prima
volta al presidente del consiglio Andreotti nel 1990, senza
ricevere risposta, dopo altri incontri, formali e non, con
membri del governo e del parlamento è stato inviato al
successivo presidente del consiglio, Amato, nel 1992. I
contatti non sono comunque andati molto più in là di un
iniziale scambio epistolare. Tuttavia esso è circolato in
ambiti più ampi, e di fatto è a partire da esso che è
cominciata una discussione realistica sul tema della
regolazione giuridica della presenza della comunità islamica
in Italia.
Anche il Centro islamico culturale d'Italia, a cui appartiene
la grande moschea di Roma, si è posto, sul piano politico,
come interlocutore dello Stato italiano per trattare i
problemi dell'Intesa. Riconosciuto come ente morale, esso è
sostenuto dal peso politico e finanziario delle ambasciate dei
paesi islamici, che ne compongono il consiglio
d'amministrazione. Tuttavia fino ad ora non ha elaborato né
una bozza di testo né qualsivoglia altro documento che vada
al di là della semplice dichiarazione d'intenti, seppure
autorevolmente ribadita (per esempio, per bocca
dell'ambasciatore del Marocco, in occasione dell'inaugurazione
ufficiale della moschea stessa, di fronte al presidente della
Repubblica, Scalfaro; mentre l'allora presidente della Camera,
Pivetti, partecipava a un rosario di riparazione per la
profanazione della città eterna).
Nel frattempo altri soggetti di minor peso sono entrati in
campo. Si tratta dell'Ami (Associazione musulmani italiani),
animata da un convertito romano, che ha elaborato una bozza
alternativa di Intesa; dell'Aiiii (che sta per Associazione
italiana internazionale per l'informazione sull'islam),
emanazione di un piccolo gruppo di convertiti con sede a
Milano, che ha commissionato a due giuristi una proposta di
Intesa, di cui ha contraddittoriamente "segretato"
il testo; e infine del Centro islamico di Milano, e sceso in
campo autonomamente nonostante sia tuttora tra i promotori
dell'Ucoii, che non ha comunque elaborato alcun testo in
discussione. Si tratta di soggetti abbastanza diversi tra
loro, animati da una robusta dose di conflittualità interna
(tra loro e verso gli altri attori citati: l'Ucoii e il Centro
islamico culturale d'Italia), inclini agli eccessi verbali,
talora con punte di asprezza polemica e oltre il limite della
diffamazione.
Si tratta quindi di una realtà plurale e anche pubblicamente
discorde (per la verità più per questioni di leadership, di
personalismi accentuati, di antiche inimicizie, che di
contenuti), originata in quanto tale da un paradosso che
l'analisi sociologica (non solo nel caso dell'islam,
peraltro), e l'analisi stessa delle bozze d'Intesa finora
presentate, evidenzia con chiarezza: la domanda di
riconoscimento dello Stato è in realtà domanda di fondazione
della comunità, e dunque dei suoi promotori. Poiché la
comunità è ancora istituzionalmente debole e poco solida, è
evidente che un riconoscimento da parte di un interlocutore
forte, rafforzerebbe i soggetti che la rappresentano o
intendono rappresentarla.
Va anche detto, tuttavia, che al di là delle petizioni di
"unicità" che gli organismi citati hanno espresso
(la richiesta di essere considerati unico rappresentante
dell'islam italiano), nella interlocuzione personale quasi
tutti, e in ogni caso tutti i più importanti, affermano
esplicitamente che accetterebbero di essere uno degli
interlocutori islamici dello Stato - prendendo (e facendo
prendere) atto che la pluralità interna è una caratteristica
legittima e per così dire "irriducibile" della
comunità islamica: in cui, come noto, non esiste un clero
formalizzato sul modello cristiano-cattolico. Un aspetto che
di per sé non dovrebbe comportare obiettive difficoltà di
principio: l'Intesa con lo stato spagnolo, ad esempio, è
stata siglata da un interlocutore islamico
"plurale". Ed anzi il processo stesso di
istituzionalizzazione per via legislativa ha costituito un
potente fattore di accelerazione di processi federativi e di
modificazioni nel panorama associativo.
E' possibile un'Intesa con l'islam?
Al di là delle sottigliezze giuridiche o del
problema della rappresentatività delle organizzazioni
islamiche, il vero problema, talvolta esplicitamente posto
come tale, e in ogni caso sempre sottinteso, è quello
riassumibile in questo interrogativo: è davvero possibile un
"intesa con l'islam"? E già porlo è un modo
elegante per avanzare una opinione dubitativa e quasi
scettica, eventualmente appena mascherata ma sempre più o
meno visibile.
Ora, dal punto di vista del principio non si può che ribadire
la piena legittimità della richiesta islamica di Intesa. Ma
oltre al principio non si può non ammetterne la legittimità
giuridica sostanziale, anche per la forma e per il contenuto
delle richieste avanzate: che, nelle bozze finora proposte,
non sembrano in linea di massima contrapporsi ai principi
normativi vigenti nel nostro paese (qualche esempio sui temi
più discussi sarà trattato nel prossimo articolo: tuttavia
notiamo fin da ora che i responsabili musulmani hanno avuto
l'accortezza di rifarsi, in taluni casi alla lettera, ad
Intese già approvate per altre comunità religiose, e in
particolare a quella dell'Unione delle Comunità Ebraiche).
Alcuni problemi di contenuto. E più in specifico di
applicazione delle varie norme, inutile negarlo, si pongono, e
andranno approfonditi: ma sono, tutti, risolvibili. E poco o
nulla hanno a che fare con l'immaginario negativo che
proiettiamo, a torto o a ragione, sull'islam (oppressione
della donna, fondamentalismo, mancanza di reciprocità,
poligamia, ecc.); o perché si tratta di problemi che non
c'entrano letteralmente nulla con le tematiche trattate
dall'Intesa, o perché concernenti presunti principi
irriducibili dell'islam cui i musulmani tuttavia, nelle loro
richieste, non fanno cenno.
Aggiungiamo infine che esiste quella che potremmo chiamare,
seppure impropriamente, legittimità numerica, visto che
l'islam è, in termini meramente quantitativi, la seconda
religione presente nel paese, anche se con alcune peculiarità
giuridiche di cui bisogna tenere conto: in particolare in
rapporto al problema della cittadinanza (la maggioranza di
coloro che professano l'islam non sono cittadini) e, ad esso
intimamente collegato, il problema "esterno"
relativo all'interferenza con i sistemi legislativi di alcuni
stati esteri.
Si impone dunque una discussione pacata, "al netto",
per così dire, di pre-comprensioni e pregiudizi che hanno una
lunga storia ma scarsa attinenza con la realtà odierna. E'
questo sia da parte degli organismi statuali, che sono dopo
tutto il partner reale dell'Intesa, sia da parte di tutti
coloro che hanno diritto d'opinione in materia (dagli
ecclesiastici ai politici, dai giornalisti agli studiosi, fino
ai singoli osservatori e commentatori), sia infine da parte
degli organismi musulmani stessi. Per evitare eventuali
delusioni (in particolare da parte islamica), è meglio
comunque non farsi illusioni: la soluzione del problema non
sarà all'ordine del giorno per l'oggi l'istruttoria di
un'Intesa ha i suoi tempi, che la stessa parola
"burocrazia" fa immaginare non brevi.
Tuttavia va anche ricordato, come conferma del resto la storia
delle precedenti Intese, e anche l'esperienza con l'islam di
vari Stati europei, che è la discussione stessa che fa, in
buona misura, la maturazione del problema, e anche quella
degli interlocutori. Non si può dunque che auspicare che la
discussione cominci, con la dovuta serietà.
La necessaria maturazione
In termini strettamente sociologici, e non
più di diritti , ci pare di poter avanzare a proposito dei
tempi necessari, un'ultima considerazione, che stimiamo di
buon senso. Per spiegarci ricorriamo a un accostamento con il
tema (del resto non troppo distante coinvolgendo almeno in
parte i medesimi soggetti) del diritto di voto per le elezioni
amministrative recentemente proposto per gli immigrati
residenti stabilmente in Italia. Sappiamo, con questo, di
distaccarci dall'opinione di una parte almeno
dell'associazionismo, ma la nostra posizione si può
riassumere più o meno come segue: siamo del tutto favorevoli,
in linea di principio, alla concessione di questo diritto, che
non solo riteniamo non abbia effetti negativi, ma al contrario
ne abbia di positivi nel favorire il processo di integrazione,
nel considerare la cosa pubblica anche cosa (e casa) propria,
su cui si investe la propria attenzione e il proprio impegno.
Riteniamo tuttavia che sarebbe buona e auspicabile norma
(pedagogica, se ci si consente il termine) che diritti
importanti, e simbolicamente cruciali, divenissero tali anche
per maturazione interna, e non solo per concessione
legislativa. In altre parole, ci sembra sminuirne il valore
concederli prima ancora che vengano davvero richiesti, che
siano davvero oggetto di dibattito, che se ne sia misurata
l'importanza e il significato, e che vi siano anche
organizzazioni in grado di valersene in maniera consapevole.
In caso contrario non accade forse nulla di particolarmente
grave; tuttavia, se sono davvero richiesti, tali diritti è
anche più probabile che vengano effettivamente utilizzati;
ciò che non è scontato nel caso opposto, come dimostrano del
resto le percentuali di partecipazione al voto degli immigrati
in altre realtà europee.
In qualche modo, per l'Intesa, ci pare che possa valere lo
stesso criterio. Il diritto ci pare indiscutibile, le
modalità di applicazione si troveranno: ma deve forse
maturare ancora un poco il radicamento sociale, prima ancora
che l'organizzazione interna, delle comunità musulmane.
Questo solo sarebbe garanzia non soltanto del buon uso, ma
anche dell'uso tout court delle possibilità (che lo
riteniamo, dal punto di vista della società vanno lette come
"integrative") che l'Intesa offre. Questo argomento
tuttavia, e ci consentiamo un'ultima ripetizione, non deve
essere letto come un alibi per non far nulla, come non pochi
sembra siano tentati di fare (anzi, di non fare). Al
contrario, essa deve essere il fondamento su cui costruire una
interlocuzione seria, pensata. A cominciare da subito, se è
vero che è l'interlocuzione stessa, in un certo senso, a
produrre la propria maturazione.
|