|
Le donne di Bokhol
di Marco Trovato
Un povero villaggio della campagna
senegalese, un gruppo di donne sfruttate, la voglia di contare
di più, lo scontro con la tradizione culturale africana:
amara e avvincente, la cui fine deve ancora essere scritta.
Le
giornate di Bokhol sono cadenzate dal ritmo dei pestelli che
macinano la farina di miglio nei tradizionali mortai di legno.
Il sole picchia come non mai, il caldo è soffocante, il vento
irritante, ossessivo. All'orizzonte, vorticosi mulinelli di
sabbia spazzano via le ultime acacie rimaste. Siamo nella
regione del fiume Senegal, a due passi dai deserti mauritani:
un posto impossibile, o quasi. Le giornate passano lente a
Bokhol; qui si vive di agricoltura: riso, sorgo, arachidi,
povere manciate di cipolle. Qualcosa cresce, il resto viene
bruciato dal sole.
Senza un attimo di tregua
Le
donne si occupano giorno e notte di tutte le faccende
domestiche: procurano acqua e legna, vanno al mercato per la
spesa, accudiscono i bambini e preparano da mangiare
all'intera famiglia. Sempre più spesso sono chiamate ad
aiutare anche nei campi (di esclusiva proprietà degli
uomini): prendono in spalla il figlio più piccolo e seminano,
irrigano, raccolgono.
Va così da queste parti: l'uomo è il capo della famiglia e
il titolare dei beni di produzione. La donna, come ovunque in
Africa, tiene in vita le comunità dei villaggi, fungendo da
spina dorsale per le povere economie agricole. Purtroppo
rimane indissolubilmente legata ad uno status sociale
subordinato, che non le conferisce alcuna autonomia
decisionale, ma che la sottopone costantemente agli ordini e
alle autorizzazioni del suo tutore (sia esso il padre, il
marito, o un altro membro della famiglia di sesso maschile).
Insomma la donna lavora più di tutti, ma non può usufruire
dei frutti del suo lavoro. Quelli li raccoglie con parsimonia
il marito, sempre attento a centellinare alla consorte solo lo
stretto necessario.
C'è chi dice no
Va
avanti così da sempre, finchè a Bokhol le donne hanno detto
basta: riunitesi in un Gruppo Informale di circa 150 elementi,
hanno individuato dei terreni, e si sono messe in testa di
coltivarli autonomamente. Senza l'aiuto dei mariti, e senza
dover dar loro neanche un centesimo dei guadagni derivanti
dalle coltivazioni. Bella idea, ma come trovare i soldi
necessari per realizzare il sogno? La proprietà della terra
in Senegal è esclusivo appannaggio degli uomini, e la
locazione di qualche ettaro coltivabile ha costi decisamente
insostenibili.
Il gruppo di donne chiede dunque una mano all'ACRA,
un'associazione italiana di cooperazione rurale che sostiene
attivamente i progetti di promozione della donna, come
"Attività di sviluppo in Senegal".
Il progetto da finanziare consiste nell'acquisto di una
motopompa e di tubi (per raccogliere l'acqua del fiume e
irrigare i campi), e nella creazione di fondi per affittare la
terra, procurare trattori e sementi, e costruire un magazzino
di stoccaggio. Un progetto ambizioso ma non impossibile per le
donne di Bokhol.
Compromessi
l'idea
è rivoluzionaria e provoca un vero terremoto nel villaggio:
gli uomini, per farla breve, non ci stanno. O meglio cercano
di inserirsi prepotentemente nel progetto. I proprietari della
terra parlano chiaro alle donne: noi vi cediamo una parte dei
campi, ma voi ci permettete di coltivare nella parte
rimanente, usufruendo della vostra logistica (leggi:
motopompa, tubi per l'irrigazione, sementi e trattori).
"Va bene", rispondono le donne, "a patto che
poi ci rimborsiate i crediti necessari per reinvestire nel
progetto". Affare fatto. Sulla carta.
In realtà le cose vanno diversamente: le donne si
organizzano, lavorano, e portano a casa i primi raccolti. Con
i soldi in più, decidono di costruire il magazzino ed
acquistare altre sementi. Ora aspettano la parte di denaro
degli uomini, come previsto dai patti.
Scontro
Ma niente da fare. I proprietari dei terreni,
dopo avere utilizzato gratuitamente le strutture del progetto
ideato e realizzato dalle donne, si rifiutano di rimborsarle,
contravvenendo agli accordi stipulati a priori. E cosa fanno
le donne per tutta risposta?
Amareggiate e un poco intimorite, ma soprattutto sdegnate e
irritate, decidono di non sottomettersi ancora una volta alla
logica secolare che le vuole succubi e fragili di fronte al
"sesso forte", e scelgono la strada dello scontro:
un bel giorno, riunitesi insieme, si dirigono verso i campi e,
in men che non si dica, smantellano tutta la logistica del
loro progetto.
Si portano via persino la motopompa, indispensabile per
continuare ad irrigare le coltivazioni.
Il messaggio per gli uomini è chiaro: "Non siamo più
disposte a cedere per l'ennesima volta su tutto. O cominciate
a prenderci sul serio e finite di sfruttarci, o vi scordate la
nostra collaborazione".
Gli uomini non credono ai loro occhi: un gruppo di donne
agguerrite come non mai, invadono i campi e li spogliano di
tutto il materiale agricolo. L'affronto è troppo grande e la
spaccatura insanabile.
Incognite
Dopo lo scontro, Bokhol vive ora una
situazione di stasi: da una parte le donne, intenzionate più
che mai a trovare altri campi su cui poter coltivare
autonomamente, e dall'altra gli uomini, in ginocchio per il
ritiro del materiale agricolo e spiazzati per questo nuovo
atteggiamento intransigente e rivendicativo del Gruppo
Informale (che, nel frattempo, si è allargato, contando oltre
300 persone).
Sistemi di controllo sociale che si sgretolano, rapporti di
forza tra sessi in crisi; voglia di emancipazione, rabbia,
frustrazioni, speranze: una sfida inedita contro la tradizione
patriarcale e la discriminazione sessuale che dilata gli
orizzonti di Bokhol nelle campagne di tutta l'Africa.
|