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Tuba: Città Santa dell'Islam senegalese
Testo e foto di Marco
Trovato
Per le strade di Tuba, piccolo
villaggio della felicità, cuore pulsante dell'Islam nero ed
osservatorio di grande privilegio sull'anima profonda del
Senegal.
Eccoci
finalmente a Tuba, cuore pulsante dell'Islam nero ed
osservatorio privilegiato sull'anima profonda del Senegal.
L'enorme moschea della città (il cui minareto, alto oltre 86
metri, rappresenta il punto più alto di tutto il Paese) si
intravede a chilometri di distanza, offuscata dal pulviscolo
dell'Harmattan, un vento secco continentale che soffia da est
portando le attitudini estreme del Sahara.
Tuba è la Mecca dei musulmani senegalesi: fu fondata nel 1886
da Amadou Bamba, padre spirituale della confraternita islamica
dei Muridi (la più importante di tutto il Paese).
Da allora "il piccolo villaggio della Felicità" è
cresciuto a dismisura, divenendo oggigiorno un corposo
agglomerato di case basse e bianche con circa mezzo milione di
abitanti.
Negli ultimi dieci anni, l'irrefrenabile processo di
urbanizzazione ha dilatato i confini topografici della Città
Santa fino ad inghiottire i villaggi di brousse circostanti.
Uno Stato nello Stato
Per i senegalesi Tuba è un miraggio, un
miracolo, un paradiso, un mondo a parte, distante mille miglia
dal degrado sociale e dalla povertà diffusa delle altre
città senegalesi: una su tutte, la capitale Dakar. Sui muri
delle case di Tuba non si contano murales religiosi dai colori
assolutamente abbacinanti (e questa è un'altra evidente
differenza tra il muridismo e l'Islam ortodosso, per sua
natura religione iconoclastica): le immagini rappresentano
soprattutto vicende della vita del venerabilissimo Amadou
Bamba, sempre raffigurato, in base alla sola foto che si ha di
lui, vestito di bianco e con il viso parzialmente coperto.
Tuba
non è più Senegal: è uno stato nello stato; è una piccola
enclave religiosa; un'entità autonoma che usufruisce pure di
leggi speciali: all'interno dei suoi confini sono proibiti
alberghi e pensioni, non si può fumare, non si può bere; non
si pagano le tasse per l'acqua e per l'elettricità ("ci
pensa il Califfo").
Non c'è il municipio ("a che serve: c'è già la
Residenza del Califfo"), non ci sono gendarmi o
poliziotti, ("e perché mai dovrebbero esserci: qui tutti
si vogliono bene"), non ci sono scuole pubbliche
("sono sufficienti le dara islamiche"); non c'è uno
straccio di industria ("tanto il Califfo trova sempre
qualche occupazione da svolgere, garantendo il minimo
indispensabile a tutti").
Devozione assoluta
A Tuba insomma regna assoluto il Grande
Califfo, massima figura religiosa del Senegal e primo
discendente di Amadou Bamba, seguito a ruota da una potente
gerarchia di Marabout, cui soggiace una fitta schiera di
fedeli (taalibè). Tutto ruota intorno a questa solidissima
struttura gerarchica piramidale: il rapporto tra discepoli e
marabout tende a configurare una dipendenza totale. Il fedele
abdica alla sua propria personalità e si fa uomo senza
bisogni.
Ciò
che più conta nel muridismo è proprio questo atto formale di
sottomissione, che è detto in wolof jébbelu, ossia
l'offrirsi, il donarsi. Il taalibè ottiene in cambio dal suo
marabout, la guida che lo condurrà alla salvezza. Ma anche
una tutela di carattere materiale. Il marabout sarà tenuto ad
assistere il taalibè in ogni occasione di bisogno: per
trovargli un lavoro, una casa, una sposa. "Il Marabout ci
dà da mangiare e ci permette di dormire nei suoi cortili ogni
giorno, oltre naturalmente a pregare per la nostra salvezza;
il marabu è un uomo molto buono e generoso", ci dice un
fedele. "Sì, è proprio così - continua un altro
taalibè, vestito di stracci e con il Corano a tracolla -
quando mia moglie era ammalata ho chiesto aiuto al mio
marabout e lui ha pregato per sconfiggere la malattia. E c'è
riuscito: il mio marabout è un santo, un guaritore".
Per le strade della città si incrociano sovente strani tipi
con capigliature ràsta (treccine intrise di grassi vegetali),
lunghi bastoni, bacinelle di legno (usate per bere e per
raccogliere le monete delle offerte) e vivaci tuniche a
scacchiera, rappezzate come patch-work alla bellemeglio, e
serrate da un cinturone di cuoio pieno di amuleti: sono i
Bay-Fall, gli imponenti cerimonieri mourid responsabili della
sorveglianza e dell'ordine per le strade. Ma non hanno di che
preoccuparsi. A Tuba non esiste criminalità.
Chi sceglie di vivere qui decide di dedicare per sempre la sua
vita alla comunità mourid: fratellanza, solidarietà,
generosità. Una parte del lavoro in bottega, nei campi, in
officina andrà al proprio marabutto.
Lavoro e preghiera
" Qui
si fa tutto gratuitamente per la nostra grande comunità e per
i nostri Maestri: non ci interessano i soldi" - mi dice
un tassista - "Noi lavoriamo perché consideriamo il
lavoro come uno strumento di preghiera e di purificazione
dell'anima". Una sorta di calvinismo musulmano. La parola
d'ordine è produrre al massimo. Ma non accumulare niente per
sé.
I più decidono di buttarsi nel commercio. Ma per fare il
venditore da queste parti non è necessario licenza né un
negozio; basta vagare senza meta con in mano qualcosa da
vendere: calzini, mutande, libri sacri, pillole contro la
dissenteria, audio cassette, pezzi di manioca.
Ai lati delle strade, si susseguono mercatini improvvisati,
con bancarelle appena accennate, e un montagna di mercanzie
dietro cui nascondersi. Tutti vendono tutto a tutti. E va bene
così. E' un'economia informale di sussistenza che permette di
sfamare migliaia di persone e di assicurare nuovo carburante a
quella grandiosa ed efficiente macchina
religiosa-economica-sociale rappresentata dalla Confraternita
dei Muridi.
Il grande pellegrinaggio
La prova evidente della funzionalità e delle
dimensioni di questo sistema, si ha durante il Gran Magal, lo
straordinario pellegrinaggio annuale in ricordo di Amadou
Bamba. Il Gran Magal richiama da ogni parti del Paese una
folla oceanica di fedeli, e per i mourid sostituisce il
pellegrinaggio alla Mecca, in memoria del fatto che il loro
fondatore non riuscì mai a compiere il viaggio rituale fino
al luogo santo del Profeta.
Come
altre feste islamiche, non ha una data fissa e cade tra il
decimo e l'undicesimo giorno dell'undicesimo mese del
calendario musulmano. Il Magal muta radicalmente la faccia di
Tuba. Centinaia di migliaia di pellegrini si recano nella
Città Santa; in macchina o in autobus, a piedi o in
bicicletta, o accalcandosi come sardine sui treni speciali: le
strade della città sono paralizzate; ci si muove solo a
spintoni e a gomitate.
E' un grandioso rito collettivo che richiama pure i senegalesi
immigrati in Europa e Stati Uniti: in molti risparmiano per un
anno intero i soldi per il biglietto aereo e quel po' che
resta in tasca lo donano, arrivati a Tuba, al proprio marabout.
In cambio, per tutta la durata del Magal, i marabout
garantiscono a tutti i fedeli, un posto per dormire e mangiare
in abbondanza.
Scuola coranica
Per un anno intero ci si prepara a questo
straordinario evento. Nelle Dara, le scuole islamiche muridi,
si accumulano le bestie che verranno uccise per l'occasione.
Ognuno deve offrire qualcosa: uno zebù, una capra, un
cammello... Tanto più grande è il dono, tanto più si
guadagna in prestigio; così - alla fine - la mandria per il
Grand Magal conterà più di 25 mila animali: un enorme
banchetto sufficiente a sfamare l'esercito dei fedeli.
La
Dara di Tuba è un immenso complesso autosufficiente dove
vivono centinaia di persone: qui si impara il Corano e a
venerare il marabout. E' il cuore organizzativo e
intellettuale della confraternita mourid, ed ha la fama di
impartire una rigida disciplina nell'insegnamento del lavoro e
della preghiera. Tutti i takeder (aspiranti discepoli; dal
wolof takeder, cintura di cuoio, tuttora indossata da ogni
membro della Dara) hanno il proprio lavoro, la propria
attività, ma nessuno - ci tengono a sottolinearlo - viene
pagato. Non solo: per poter vivere nella Dara bisogna pagare
una quota settimanale e chi non ha soldi deve donare animali o
manufatti.
Gli studenti (circa 200, suddivisi per sesso in due ale
nettamente separate dell'edificio) cominciano a frequentare la
scuola in età giovanissima: "appena si sentono pronti,
anche a cinque anni", ci spiegano. La frase d'uso con cui
il padre saluta il Direttore della scuola consegnandogli il
figlio, è, significativamente: "Insegnagli il Corano o
restituiscimi il suo cadavere".
Da quel momento gli aspiranti discepoli cesseranno di avere
dei genitori: le loro nuove guide saranno piccoli, grandi
marabout. Da servire e venerare per l'intera vita.
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