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Il Sinodo Africano: cinque anni dopo
di Wolfgang Shoneke
Nel 1994 il Sinodo Africano, il primo nel
suo genere, ha raccolto attorno al Papa i vescovi da ogni
parte del continente per esaminare la loro Chiesa, dopo
duemila anni di evangelizzazione e per tracciare la lista
delle priorità pastorali per il nuovo millennio. Dopo cinque
anni, qual’è l’impatto di questo evento sulla Chiesa che
è in Africa?
Quest’articolo di P. Shoneke, apparso nel “Servizio di
Documentazione” dei Vescovi dell’Africa Orientale, cerca
di dare una risposta.
Il
Sinodo africano si è concentrato su tre punti: una visione
africana della Chiesa come famiglia, un urgente bisogno di un
Cristianesimo inculturato e il compito della Chiesa in un
contesto di violente lotte per il potere e di povertà sempre
crescente.
La Chiesa Famiglia di Dio
I vescovi sognarono una Chiesa che viva l’intimità
e la solidarietà di una grande famiglia africana, nella quale
tutti i cristiani si tengono per mano per evangelizzare se
stessi e il mondo attorno a sé. Questo sogno si è avvicinato
almeno un poco alla realtà? In qualche parte sì. Il Sinodo
ha riacceso gli sforzi ed ha avviato e rinsaldato le piccole
comunità cristiane. I vescovi dello Zambia hanno istituito il
“Forum Cattolico dello Zambia”: una volta l’anno
vescovi, preti, religiosi e laici si riuniscono per studiare
insieme alcuni problemi cruciali che si pongono alla loro
Chiesa.
Un certo numero di sinodi diocesani hanno riunito le varie “tribù”
della Chiesa per una comune riflessione ed azione, ed altri
sinodi sono in progetto. La nomina e la formazione di nuovi
coordinatori pastorali nei paesi dell’Africa Orientale aiuta
a rinsaldare quella più grande “solidarietà pastorale
organica” richiesta dal Papa e a portare la visione del
sinodo nella vita delle loro chiese.
Ma le mentalità e le strutture del controllo clericale sono
dure a morire. Una delle sfide più fondamentali è la
revisione dell’attuale metodo di formazione clericale. I
futuri sacerdoti vengono ancora formati isolati dai laici, che
raramente hanno una qualche responsabilità nella loro
selezione e nella formazione.
Una teologia clericale pre-sinodale domina ancora l’insegnamento
nei seminari, che è strutturato per produrre dei teologi più
che animatori di comunità cristiane attrezzate per l’evangelizzazione.
La prossima riunione dei Vescovi della Conferenza Episcopale
dell’Africa Orientale (AMECEA) intende affrontare questo
problema fondamentale, si spera con la necessaria onestà e
determinazione.
Inculturazione
L’altra grande preoccupazione del Sinodo è
stata l’inculturazione, lo sforzo di colmare le distanze tra
la fede e la vita reale. I volumi scritti sull’argomento
finora hanno avuto scarso impatto sulla vita concreta delle
chiese locali. Il Sinodo ha voluto far passare il processo di
inculturazione dalla teoria alla pratica, dalla liturgia alla
vita. Un notevole sforzo è stato fatto dalla Chiesa della
Tanzania.
In
un programma di due anni, tutte le parrocchie e gruppi
ecclesiali furono invitati ad esaminare sistematicamente, alla
guida del Vangelo, non la loro cultura del passato, ma la
cultura che essi vivono oggi. E’ troppo presto per dire se
tutto questo sarà finalmente tradotto in un cambiamento di
metodi pastorali. Un approccio troppo radicale all’inculturazione
può provocare anche forti reazioni. Alcune celebrazioni
liturgiche troppo audaci hanno indotto i vescovi del Malawi a
imporre temporaneamente uno stop agli esperimenti di
inculturazione.
L’inculturazione si rivela come un procedimento molto
complesso, dato che le culture in Africa cambiano rapidamente.
Molte pratiche culturali disumane come la trasmissione
ereditaria delle vedove o la circoncisione femminile, sono
discusse e criticate pubblicamente. L’urbanizzazione e l’enorme
influenza esercitata sulla gioventù dai mezzi di
comunicazione visuali fanno sorgere perfino la domanda: che
cosa rimarrà dell’eredità culturale dell’Africa?
La Chiesa e le lotte per il potere e la
ricchezza
L’apertura del Sinodo nel 1994 ha coinciso
coll’inizio del genocidio in Rwanda. L’inimmaginabile
crudeltà ed entità di questi massacri nel più cattolico
paese del continente hanno forzato i padri sinodali nel 1994 a
guardare in maniera critica agli effetti di cento anni di
evangelizzazione ed a mettere bene al primo posto nel
programma le questioni di Giustizia e Pace. Quel tragico
evento ha provocato una conversione e un nuovo modo di pensare
nella Chiesa e nella società?
Ci
sono stati eroici sforzi di riconciliazione e di
riedificazione delle comunità cristiane a livello di base. Ma
vescovi, sacerdoti e religiosi in Ruanda rimangono divisi come
sempre da criteri etnici ed hanno scarsa credibilità in un
paese dove la riconciliazione è biasimata come rifiuto di
giustizia e la violenza etnica e la vendetta da ogni parte
rimangono all’ordine del giorno.
L’appello del Sinodo Africano a lavorare per un’autorità
responsabile, uno stato di diritto, a rispettare i diritti
umani e “assicurare una onesta ed equa condivisione dei
benefici e degli oneri” è caduto largamente in orecchi
sordi. Il conflitto ruandese si è riversato nel Congo, dove
gli eserciti dell’Uganda e del Ruanda affrontano Kabila e i
suoi alleati, e le due parti sono sostenute da interessi
economici stranieri. Questa nuova “zuffa per l’Africa”
riguarda chi “mangerà” le enormi ricchezze di questo
vasto paese.
Paesi poveri come l’Etiopia e l’Eritrea spendono somme
colossali per armarsi in vista di un’altra guerra. Il Sudan
sanguina da trent’anni per una guerra che nessuno può
vincere e la Chiesa cattolica in Sudan è confrontata con un’aperta
persecuzione, che è bene simboleggiata dal processo
spettacolo contro due preti.
La pace sembra quanto mai difficile da raggiungere.
Dappertutto la corruzione da grave è diventata senza fondo e
i politici hanno ormai sviluppato una completa immunità
contro le dichiarazioni della Chiesa e i resoconti della
stampa. E nemmeno la Chiesa ha affrontato apertamente la
corruzione strisciante nelle sue proprie file o fatto mosse
significative verso una maggiore “responsabilità e
trasparenza”. E questo rovina seriamente la credibilità
della Chiesa nella società.
Bagliori di speranza
Ma
non tutto è cupo. La Nigeria sta risvegliandosi da un lungo
incubo di dittatura militare.
La Commissione Verità e Riconci-liazione del Sudafrica,
malgrado i suoi limiti e i tentativi di bloccarla, ha dato un
contributo per la ricostruzione della società sudafricana. Ci
sono segnali di speranza. Le Chiese hanno avuto un ruolo
significativo in Sudafrica, come lo hanno avuto in altri paesi
nella riformulazione di una nuova Costituzione. Più
importante ancora, i cattolici stanno diventando più
coscienti della loro responsabilità nella società.
Un crescente movimento di “Non-violenza Attiva” dà alla
gente una nuova visione ed energie nuove. Si stanno mettendo
le fondamenta per un nuovo futuro.
E non dimentichiamo che oggi in Africa, come altrove in tutta
la storia della Chiesa, Dio suscita, in mezzo al caos e la
confusione, dei leader cristiani di statura eroica.
Quando si saranno calmate le onde della violenza e saranno
dimenticati i politici dal meschino potere, la gente in Africa
ricorderà uomini come Mons. Ruhuna, arcivescovo di Gitega
assassinato per la sua impavida opposizione alla violenza
etnica, e Mons. Munzihirwa, l’arcivescovo di Bukavu, ucciso
perchè denunciò l’aggressione del suo paese da parte dei
suoi vicini ed è già venerato come un santo dal suo popolo.
Sono essi ed altri come loro che sono un’ispirazione per
molti, per mantenere viva la visione del Sinodo di una Chiesa
e un’umanità viventi come una sola famiglia.
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