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L’Africa è qui
di Marco Trovato
foto di Dario Bernardi
Certo sono in molti a considerare l’Africa come la terra-simbolo di tutte le sciagure umane, un continente alla deriva minato dalla miseria, dalle guerre e dalle carestie. Eppure qualcosa sta cambiando. La straordinaria ondata migratoria di questi ultimi decenni ha dilatato gli orizzonti culturali delle nostre metropoli.
Oggi l’Africa la si può trovare dietro l’angolo,
a due passi da casa. Ed è un’Africa diversa da come ce la
presenta la TV. E’ un’Africa che spesso ci stupisce e ci
cattura. Un’Africa che non ci si aspetta, capace di
arricchirci e farci crescere. Un’Africa che molto ha da
offrire e insegnare alla nostra società.
Basta guardarsi attorno per accorgersi delle influenze, delle
contaminazioni e del meticciamento culturale che sta
provocando: i ristoranti eritrei e senegalesi fanno tendenza,
in discoteca si ballano brani di Youssou N’Dour e Miriam
Makeba, l’arredamento etnico è l’ultimo grido dei
designer, le treccine zulu sono germogli di una moda-mania
afro in divenire.
A ben guardarla, dunque, l’Africa diventa un continente
ricco di risorse e culture da scoprire. L’incontro con il
diverso può rappresentare una sfida di tolleranza da
raccogliere e valorizzare. L’immigrazione può diventare un’opportunità
di crescita per ciascuno.
Ed è proprio questo il senso che abbiamo voluto dare a questo
Servizio Speciale: l’invito aperto a tutti nel cercare la
“nostra Africa”: quella che ognuno di noi può imparare a
scoprire e fare propria, ogni giorno, dialogando e
confrontandosi con i tanti immigrati africani che ci
circondano: dal venditore ambulante che vende gli accendini al
ristoratore che ha deciso di far conoscere la sua cucina
tradizionale. Dai giovani che frequentano le nostre
università ai commercianti, agli artigiani e ai piccoli
imprenditori che, sempre più numerosi, aprono attività di
vario genere esportando mille schegge di cultura afro.
Con questo Servizio Speciale vi proponiamo un inedito
itinerario tra gli odori, i suoni, i colori e i sapori del
continente nero: vi suggeriamo mille idee per vestire,
mangiare, osservare, ascoltare, leggere l’anima profonda
dell’Africa immigrata nel nostro Paese. Si tratta di un
primo censimento a livello nazionale su una realtà
frammentata e in continua evoluzione. Certo qualcosa mancherà
all’appello, ma il panorama tracciato rappresenta senz’altro
una bussola indispensabile per orientarsi nell’Africa di
casa nostra. A voi il compito di scoprire la ricca umanità
che si cela dietro ad ogni indirizzo e ad ogni insegna. Non
resta che fare proprio un vecchio suggerimento di Paul Valery:
“Arricchiamoci delle nostre reciproche differenze”.
Artigianato
In Africa, l’acquisto di qualsiasi oggetto
di artigianato implica il rituale senza fine della
contrattazione del prezzo. Da noi le cose sono più semplici:
bracciali, anelli, orecchini e collane hanno costi che
oscillano, a seconda del materiale e della lavorazione, dalle
cinque mila alle cento e passa mila lire, ma quelli sono e
quelli rimangono: non c’è trattativa, tutt’al più si
può sperare in uno sconto promozionale.
Detto questo, bisogna assolutamente segnalare - anche perché
nell’arredamento va di moda lo stile etnico e afro - i batik
dell’Africa Orientale (soprattutto di Kenia, Uganda e
Tanzania): si tratta di dipinti eseguiti su tela impregnata di
cera, con un’antica e raffinata tecnica del colore. I
disegni così ottenuti, con soggetti mutuati da scene di vita
locale e da temi tradizionali, hanno vivacissimi colori e
inconfondibili tratti, tipicamente africani.
Per le maschere, gli amuleti e le sculture in legno, meglio
puntare sull’Africa equatoriale e occidentale (famose le
maschere Dogon dal Mali e Senufo della Costa d’Avorio); non
fatevi comunque illusioni: nove volte su dieci gli articoli
sono fatti in serie e hanno ben poco di autentico. Lo stesso
dicasi per pugnali, lance e tamburi. In generale, nei reparti
di bigiotteria e chincaglieria, c’è solo l’imbarazzo
della scelta. Un po’ in tutta Italia, esistono negozi
specializzati in collane e gioielli ricavati da pietre dure
pregiate: su tutte, la malachite, l’occhio di tigre ed il
lapislazzulo (quest’ultimo con le caratteristiche venature d’oro).
Fra gli oggetti fatti con fibre vegetali, scorze d’albero e
fili d’agave, ve ne sono di originali e decorativi: possono
piacere e costano poco.
Ottimi i cesti, i cappelli e le borse di giunco intrecciato o
di vimini provenienti da tutta l’Africa Subsahariana (ottima
la produzione dal Madagascar). Quello dei tessuti è un
mercato decisamente conveniente. Ve ne sono di cotone e di
seta con colori e disegni veramente originali e
caratteristici. Molte botteghe vendono esclusivamente prodotti
del commercio equo-solidale, tutta merce importata dai paesi
del Terzo Mondo, senza l’intermediazione e la speculazione
delle grandi multinazionali. Scegliendo questi negozi per le
vostre compere contribuite di fatto a superare lo sfruttamento
di migliaia di artigiani e produttori africani. Per conoscere
gli indirizzi dei negozi, contattare l’associazione delle
Botteghe, tel 049/8754688.
Letteratura
Sull’onda dei successi ottenuti dal
nigeriano Woole Soyinka, dall’egiziano Nagib Mahfuz
(entrambi premi Nobel) e della vincita del premio GONCOURT da
parte del maghrebino Tahar Ben Jelloun, anche il nostro mondo
editoriale, tanto distratto quanto irrimediabilmente
provinciale, ha scoperto recentemente la letteratura africana.
Per la verità, la vastità del continente e le diverse
esperienze politiche e culturali che lo hanno attraversato,
impediscono di parlare di un’unica narrativa africana. Pur
tuttavia dal Continente nero giungono a noi alcuni degli
scrittori più interessanti e originali del panorama
contemporaneo. Pian piano anche i grandi editori ne hanno
preso coscienza ed hanno cominciato a pubblicarli. Sono state
create collane di narrativa africana e si è cominciato a
investire su una proposta editoriale, certo non facile, ma
senz’altro estremamente innovativa e preziosa.
Per un panorama completo sulla letteratura africana segnaliamo
“Noci di Cola, Vino di palma”, un’ottima guida curata
dall’associazione Mani Tese (Ed. Lavoro, 484 pp, 45 mila
lire). Il volume, che tra l’altro presenta i principali
autori e le opere, divisi per aree linguistiche, si rivolge a
tutti coloro che sono sensibili e curiosi di cultura africana.
Tel: 02/4075165.
Bellezza
Cominciamo dai capelli: nella cultura
tradizionale africana le acconciature servono a rendere
esplicito lo statuto sociale delle ragazze, e in particolare a
distinguere le bambine (che hanno solitamente i capelli rasati
o pettinature semplici) dalle adolescenti, che possono
incominciare a occuparsi della propria bellezza e a richiamare
gli sguardi dei compagni. Le tipiche treccine africane, che
vanno tanto di moda anche da noi, richiedono mani
specializzate: per non rischiare di vedersele sciogliere dopo
pochi giorni, meglio affidarsi a parrucchieri dalla comprovata
esperienza e professionalità.
La tecnica dell’allungamento dei capelli naturali con fibre
sintetiche può richiedere anche due giorni di duro lavoro ma
garantisce un’acconciatura stabile per almeno cinque mesi.
Pochi lo sanno ma la polvere rossa di henné, utilizzata per
tingere i capelli, viene estratta da un arbusto pieno di spine
di origine araba e nordafricana: le confezioni originali d’importazione
sono le migliori. Vasto l’assortimento di accessori per il
trucco etnico di tendenza: unghie e ciglia finte di tutti i
colori e misure, lustrini e decorazioni adesive, lacche e
smalti colorati di qualsiasi tonalità. Alcuni centri estetici
e parrucchieri dispongono di prodotti naturali tradizionali
africani contro le rughe e la caduta dei capelli.
Un’esperienza decisamente interessante, in materia di
bellezza afro e orientale, è nata a Torino dove un gruppo di
donne immigrate del Maghreb ha aperto il primo bagno turco
tradizionale. “Si tratta di un hammam in piena regola” -
raccontano orgogliose le ideatrici di questa attività - “dove
henné, argilla e piante aromatiche mescolate con sapienza
creano un’atmosfera miracolosa per il corpo e lo spirito”.
(Informazioni allo 011/201727).
Cinema
Non è possibile parlare di un unico
linguaggio cinematografico, tuttavia, sia nel Maghreb che nell’Africa
subsahariana diversi registi hanno sfornato tra mille
difficoltà (basti pensare agli ostacoli di natura economica!)
una notevole produzione, spesso di grande valore, ignorata e
snobbata dai critici di casa nostra.
Rarissimi sono i film africani che hanno avuto accesso alla
distribuzione commerciale delle sale italiane, mentre sempre
più importante è il circuito parallelo dei cinema d’essai,
delle rassegne, dei cineclub che promuovono e diffondono le
cinematografie più marginali. Primo fra tutti, il Festival
del Cinema Africano di Milano, che da dieci anni rinnova in
primavera il suo appuntamento con le ultime produzioni dei
registi provenienti dal continente nero.
Il Festival del Cinema Africano è organizzato dal Coe, Centro
Orientamento Educativo (sede in via Lazzaroni 8, tel.
02/6696258), un organismo non governativo che opera nel
settore della distribuzione dei film dei paesi in via di
sviluppo. E per aggiornarsi sull’attività cinematografica
in Africa e conoscere gli artisti africani della settima arte,
il Coe mette a disposizione un ampio catalogo di titoli di
film (corti e lunghi metraggi, documentari e fiction), che
possono essere distribuiti e presentati in tutta Italia su
iniziativa di associazioni o enti locali.
Anche la cineteca di Bologna (via Galliera 8, tel. 051/237088)
è un sicuro punto di riferimento per chi desidera avvicinarsi
ai film di produzione africana.
A Verona, il mensile Nigrizia promuove ogni autunno un’interessante
rassegna dedicata proprio al cinema africano. Il programma
delle proiezioni conta decine di titoli di film e video
realizzati da registi contemporanei, oltre a numerose sezioni
retrospettive.
Ritmi africani
A suon di hit ascoltati e ballati in ogni
angolo del mondo, la musica africana si è affermata
prepotentemente nell’universo discografico.
In principio ci fu Elias e i suoi Zig Zag Jive Flutes: “Tom
Hark” fu il primo brano a imporsi sul mercato
internazionale. Seguirono a ruota Miriam Makeba e Hugh
Masekela (che con “Grazing In The Grass” raggiunse la
vetta delle classifiche americane), Manu Dibango (che nel
1973, con “Soul Makossa”, rivelò al mondo la tradizione
musicale del Camerun), Youssou N’Dour, Fela Kuti, Mory Kante
(ricordate la sua gettonatissima Ye’Ke’ Ye’Ke’), Papa
Wemba, Salif Keita, Cheb Khaled, Toure Kunda, Ismael Lo, King
Sunny Ade... Questi e altri musicisti hanno contribuito a far
lievitare progressivamente le quotazioni dei ritmi afro nella
borsa delle classifiche occidentali.
Un successo straordinario raggiunto anche per l’apporto
decisivo derivante da altri fattori: da una parte infatti, i
flussi migratori e l’aumento dei viaggi turistici verso l’Africa
hanno reso possibile un contatto diretto con questa nuova
cultura musicale; dall’altra, l’attenzione di alcuni
grandi personaggi del rock verso le sonorità africane (basti
pensare a Paul Simon e a Peter Gabriel), ne hanno facilitato
la diffusione. Sarebbe però un errore pensare la tradizione
musicale africana partendo dalle sonorità di oggi. L’influenza
dei ritmi africani è stata determinante nella storia della
musica in generale.
Mediante la tratta degli schiavi, la musica afro approdò in
America già nel ‘500. Dai canti di lavoro delle comunità
africane derivarono le sonorità afro-americane: blues, jazz,
swing, rhytm and blues e soul. Anche la musica
latino-americana e caraibica, come il reggae, la rumba, il
calypso e molti altri generi musicali, hanno precise origini
africane. La stessa cosa è avvenuta con la danza tradizionale
che, cavalcando l’incessante poliritmia del tamburo, ha
finito col contagiare e contaminare i balli di mezzo mondo.
Cucina arabo-islamica
L’anima della cucina maghrebina (Marocco,
Algeria, Tunisia, Libia ed Egitto) è il cous-cous, condito
con burro e accompagnato da montone, pollo, pesce, manzo, uva
passa, erbe aromatiche, spezie e guarnito con uova sode e
verdura (può essere anche servito come dolce, con frutta,
datteri o melograno). Vi sono poi numerose zuppe di legumi,
cereali, carne o pesce generalmente molto speziate. Ottime le
polpettine di carne “kefta”, il pollo alla cannella
(Algeria), il montone al miele (Marocco) e gli spiedini di
manzo “kebab”. Condimento comune a tutta l’area è il
piccantissimo “harissa” e soprattutto nella cucina
tunisina e algerina vi è un generoso uso del peperoncino.
La religione musulmana dei paesi nordafricani, in materia
culinaria, prescrive il divieto di mangiare carne di maiale e
di bere acoolici e l’usanza di prendere il cibo con la mano
destra, poiché le sinistra è considerata impura.
In Italia, però, se escludiamo alcuni centri tipicamente
islamici, è possibile abbuffarsi liberamente e gustare le
tipiche specialità sorseggiando birra e vino fresco.
Talvolta, nei locali più raffinati, le cene sono accompagnate
da danze tradizionali e spettacoli d’intrattenimento.
Cucina eritrea-etiope
Con la sua miscellanea di spezie, legumi e
cereali di ogni tipo, la cucina eritrea-etiope è riuscita a
conquistarsi anche da noi un’affezionata clientela.
Soprattutto a Milano e a Roma il numero dei ristoranti è in
continuo aumento. Alcuni sono più tradizionali e semplici,
altri più ricercati soprattutto per quel che concerne l’arredamento
del locale ed il servizio.
Protagonista di ogni pietanza è il “berberè”, un
miscuglio eccitante di spezie, peperoncino, aglio e cipolla
abbrustoliti. Il piatto celebre è lo “Zighinì”, uno
spezzatino di carne o pesce piccante, cotto in un sugo di
burro, cipolla, pomodoro e berberè, e servito con varie
verdure sopra un grande pane spugnoso. Si mangia con le mani,
aiutandosi con il pane.
Se non siete ancora pieni, provate le sambusa, frittelle di
carne, pesce o verdure. Di contorno può andare bene lo scirò,
una farinata di ceci e altri legumi, cotta in un soffritto di
cipolle e pomodoro. Per i vegetariani ci sono anche il tuntumo
(lenticchie in umido), il bamia (verdure africane) e l’aggià
(grano pestato con pomodoro e curry).
Come dolce viene servito solitamente un piatto mediorientale:
l’halva, una sorta di torrone morbido al sesamo. Le bevande
più comuni sono il mes, vino di miele stagionato, l’areki,
digestivo all’anice e l’immancabile té speziato (vi
aiuterà a digerire e a dissetarvi).
Cucina dell’Africa Occidentale
La tradizione culinaria dell’Africa occidentale è legata a
pochi elementi base, come la manioca, il miglio e le spezie, e
all’uso di salsine di condimento che, a seconda dei paesi,
sono più o meno piccanti. Tuttavia la cucina è ottima ed
estremamente varia.
Saporitissimi intingoli accompagnano piatti di riso bianco,
couscous o polentine di cereali: il “Mafe”, piatto tipico
del Mali, uno spezzatino con verdure e salsa d’arachidi; il
“Boarake” con carne o pesce, foglie di manioca e olio di
palma; la “Yassa”, carne marinata in succo di limone e
accompagnata con senape, cipolle, olive verdi e riso; il “Thié-bou-dienne”
(letteralmente “riso al pesce”), piatto nazionale
senegalese, un ricchissimo risotto di pesce, verdure e
manioca.
Per il dessert, l’immancabile “lait caillè”, una sorta
di yogurt zuccherato ma dal sapore leggermente acidulo.
In ogni ristorante che si rispetti non manca mai il té: è di
prammatica agli appuntamenti tradizionali. Spesso, lo si
prepara alla maniera araba: verde, ristretto il più possibile
e con una pregevole schiuma, frutto di molti travasi. Volendo
essere rigorosi, la tradizione imporrebbe tre tazze di rito:
“La prima amara come la vita, la seconda dolce come l’amore,
la terza soave come la morte”. La prima, insomma, è la più
ostica e forte, l’ultima è la più leggera e annacquata.
Alimentazione
Se la cucina africana ha conquistato i vostri
palati, potete sempre fare da voi e provare a preparare
qualche piatto già apprezzato al ristorante.
Oggigiorno non è più un problema reperire buona parte degli
ingredienti: parecchi negozi di alimentari esotici espongono
infatti una ricca sezione di prodotti africani (dai tuberi
alla frutta, passando per i pesci essiccati...). Anche i grani
di couscous si trovano facilmente. Lo stesso dicasi per le
varie spezie: cumino, ginger, zafferano, cannella e così via
sono oramai presenti sugli scaffali di qualunque supermercato.
Le uniche difficoltà riguardano la cucina eritreo-somala per
la quale non esistono negozi specializzati; in compenso però
nella maggior parte dei ristoranti si vendono gli ingredienti
tipici. Per alcuni piatti del nord Africa, volendo essere
rigorosi, dovreste ricordarvi di alcuni dettami religiosi. La
carne, ad esempio, secondo il Corano deve provenire da un
animale ucciso secondo un rituale preciso che tra l’altro fa
in modo che il sangue possa defluire completamente.
La macellerie “halal” garantiscono in questo senso la
correttezza del procedimento e dunque la “purezza” della
carne. Al contrario di quello che si potrebbe pensare, la
cucina africana offre un ampio ventaglio di pietanze, ricche e
variegate.
Vi consigliamo, dunque, per scoprire sempre nuove golosità,
di consultare qualche ricettario facilmente reperibile in
libreria: “Metti una cena esotica a cena” (Oscar Mondadori,
13 mila lire), “Le più belle ricette del mondo” (Ed.
Giunti, 38 mila lire), “Ricette dal Sud del Mondo” (Ed.
Sonda, 12 mila lire), “Cucina esotica” (Hoelpi manuali, 20
mila lire).
Buona lettura, buona spesa e soprattutto ... Buon appetito!.
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