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Eritrea: Quale futuro?
Le difficili possibilità di intesa
di Camilla Marini
L’intricata e difficile situazione
dell’Eritrea, non sembra preludere alla possibilità di una
qualsiasi forma di riappacificazione. Il paese arrischia
intanto di perdere anche gli aiuti possibili e le condizioni
di vita di migliaia di profughi si fanno sempre più
drammatiche.
Si
prevedono tensioni per la primavera Eritrea. E' infatti nel
mese di febbraio che una commissione internazionale deve
annunciare la definitiva sistemazione dei confini fra
l'Eritrea e l'Etiopia, dopo la guerra di confine che ha
sconvolto i due paesi dal 1998 al 2000. Ciò che più si teme
è che le decisioni che verranno prese non siano accolte per
quello che sono, ossia decisive e finali, e che il processo di
pace subisca un'ennesima battuta d'arresto. Le ostilità fra i
due paesi belligeranti sono state sospese nel mese di giugno
del 2000 per essere poi stabilite ufficialmente, con un
trattato di pace firmato ad Algeri, nel dicembre dello stesso
anno.
La guerra di confine era esplosa a causa del continuo avanzare
di truppe militari nemiche sul territorio eritreo, uscito
vittorioso solo nel 1993 dalla lunga guerra di indipendenza
dall'E- tiopia. Attualmente l'Eritrea ha ancora numerosi
prigionieri di guerra detenuti nei campi all'interno dei suoi
confini e deve, fra i suoi più gravi problemi, vedersela con
più di due milioni di mine lungo il confine dall'Etiopia, che
non ne ha rivelato le mappe.
La zona cuscinetto, la cosiddetta TSZ, (Temporary Security
Zone) che si estende a circa 25 kilometri dal confine, in
territorio prevalentemente Eritreo, vede la presenza costante
e preoccupante di truppe militari (ufficialmente di polizia)
eritree e non mancano (sempre in territorio eritreo) i
militari etiopici.
Se i rapporti con l'Etiopia non sono dei più rassicuranti, la
politica interna dell'Eritrea è inquietante: le elezioni che
avrebbero dovuto tenersi nel dicembre passato sono state
rinviate a causa dei tumulti che hanno portato il presidente
eritreo ad essere accusato di anticostituzionalità e
dispotismo.
Fra le azioni di maggior rilievo internazionale si deve
ricordare, infatti, il récente allontanamento dall'ambasciata
di Asmara dell'italiano Antonio Bandini, che ricopriva
egregiamente l'incarico dal luglio 1998 (in piena guerra,
quindi). L'ambasciatore è stato ''invitato'' ad abbandonare
il paese africano per sue supposte connivenze con i cosiddetti
sovversivi; in realtà Bandini è stato protagonista del
"botta e risposta" (attraverso i consueti termini e
canali diplomatici) fra la Comunità Europea e il governo di
Isayas Afwerki, accusato di ledere ai diritti civili della
popolazione. Clamoroso, a questo riguardo, l'arresto
(ritenuto, infatti, arbitrario e ingiustificato dagli
osservatori della Comunità) di undici personaggi di spicco
nella politica e cultura del Paese, fra cui vecchi compagni
nella lotta di liberazione ed ex ministri. L'accusa ad essi
rivolta è stata quella di sovversione e di aver attentato
alla sicurezza del Paese.
L'arresto degli undici, avvenuto il 18 settembre 2001, ha
avuto come conseguenza, dieci giorni dopo, in seguito alla
lettera con la richiesta di chiarimenti, l'ingiunzione a
Bandini di "tornarsene a casa"; immediata la
reazione da parte del nostro Paese nonché dalla Ue, che
hanno, rispettivamente, espulso il diplomatico eritreo Tseggai
Mogos dall'ambasciata romana (dove era giunto solo da pochi
mesi) e ritirato temporaneamente , il 9 ottobre, tutti gli
ambasciatori europei da Asmara (quattro dei quali sarebbero
poi stati rimandati sul territorio africano nella prima metà
di novembre).
I notevoli rischi
L'Eritrea rischia, con questa mossa, di
giocarsi l'appoggio e la solidarietà, fra gli altri, del suo
massimo paese donatore, l'Italia, che ha sempre avuto un
rapporto privilegiato con la sua ex colonia, in termini di
aiuti ma anche di influssi e scambi culturali reciproci. Da
parte dei rappresentanti del governo eritreo il problema con
l'ambasciata toccherebbe, invece, non la questione della
lettera della comunità (in cui si chiedeva di fare chiarezza,
come si è visto, sulla questione degli arresti ingiustificati
e sulle altre infrazioni dei diritti civili) ma per una non
meglio specificata ingerenza su questioni estranee alla sua
competenza e alle sue funzioni.
Insomma:
il problema starebbe nei rapporti con i sovversivi. Rappresen-
tanti della Comunità Europea avrebbero, infatti, incontrato
settimane prima degli arresti i cosiddetti dissidenti (alla
luce del sole: presso l'albergo principale di Asmara), in nome
di una comunanza di intenti oltre che di funzioni attualmente
o in passato ricoperte.
Già questo incontro aveva irritato parecchio le autorità
governative, che non hanno trovato occasione migliore che la
protesta ufficiale della Comunità per allontanare Bandini. I
primi ad essere arrestati sono stati, il 18 settembre, l'ex
ministro degli esteri Petros Solomon, capo militare negli anni
della guerra di liberazione e da mesi portavoce del dissenso
eritreo, Mahumud Sherifo, ex ministro degli affari locali, e
Hailè Woldetensae, anche lui ex ministro degli esteri.
Tutti i personaggi imprigionati facevano parte dei quindici
firmatari della "lettera di Asmara", documento con
cui, nel maggio scorso, si accusava il presidente Afwerki di
comportamenti "illegali e incostituzionali".
Sempre con l'accusa di complotto contro la sicurezza e la
sovranità nazionale si dice ci siano state decine di altri
arresti e i giornali indipendenti sono stati fatti chiudere.
La colpa della stampa sarebbe quella di aver favorito e
diffuso il dibattito aperto dai "reformers", anche
se ufficialmente i giornali sono stati accusati di non aver
ottenuto la "licenza" per poter essere diffusi.
Meno di una settimana dopo sono stati messi agli arresti,
sempre dalle forze governative, almeno nove giornalisti, con
l'accusa ufficiale di essere sfuggiti agli arruolamenti
obbligatori del "National Service": peccato che fra
gli arrestati ci fossero dei veterani della guerra di
indipendenza e altri personaggi legalmente esentati dal
prestare servizio militare...
Intanto il tempo passa e la situazione interna al paese
peggiora: il Governo Eritreo accusa l'Etiopia di fomentare gli
scontri ai confini (quando non all'interno) del TSZ, di essere
rientrati nel loro territorio e di non rispettare gli accordi
di pace stabiliti ad Algeri. Dal canto loro, portavoce della
UNMEE (United Nations Mission in Ethiopia ed Eritrea,
stabilitasi tra i due paesi proprio allo scopo di garantire la
pace), negano le dichiarazioni e smentiscono le reciproche
accuse di tentata belligeranza fra i due paesi confinanti,
affermando che, invece, la situazione nel territorio
cuscinetto sia sostanzialmente calma. Ciò che è certo è che
la zona al confine è punteggiata da mine che mettono a
repentaglio la vita di migliaia di persone (si parla di più
di due milioni di mine su un popolazione, quella eritrea, di
tre milioni e mezzo) e che per migliaia di eritrei è ancora
impossibile fare ritorno nei propri villaggi, per quanto sia
notizia abbastanza recente la liberazione di numerosi
prigionieri di guerra da parte di entrambi i paesi.
La situazione dei profughi
Le condizioni di vita per migliaia di
profughi è comunque drammatica, i campi mancano di gran parte
delle strutture minime necessarie, dal punto di vista
sanitario e non solo. Non molto migliore è la vita per i
tanti che pure dovrebbero, sulla carta, godere dei diritti
civili: come si è detto, la presidenza di Isayas Afwerki,
leader dell'EPLF (Fronte di Liberazione Popolare Eritreo),
mostra sempre più tendenze dittatoriali; ogni dissenso è
messo a tacere con arresti indiscriminati e nessun
rappresentante politico, se non quelli al governo, del Fronte
Popolare per la Democra- zia e la Giustizia, sembra poter far
sentire la propria voce.
Proprio
a causa dell'assolutismo che ha smosso gli animi dei "reformers"
(e aperto loro le porte delle prigioni...) l'Eritrea si trova,
così, a rischiare un pericolosissimo isolamento, nell'ambito
del quale anche i paesi, che, come si è visto per l'Italia,
hanno contribuito e continuano a inviare aiuti e soccorsi,
rischiano di intiepidirsi nei confronti del paese africano.
Si deve, inoltre, ringraziare l'assenza di democrazia dei
massimi rappresentanti del governo se le elezioni
parlamentari, previste per il dicembre scorso, sono slittate a
questa primavera.
Fra i motivi del rinvio certamente va ricordato il fatto che
l'Assemblea Nazionale, senza il cui preliminare incontro non
si può procedere, non è convocata dal settembre del 2000.
La convocazione di tale assemblea è necessaria per ratificare
la legge elettorale e quella sul pluralismo politico e solo
ora pare che membri del parlamento si siano riuniti (a metà
gennaio) ad Asmara per dibattere le numerose faccende in
sospeso. Oltre ai problemi elettorali, in gioco ci sono pure
la questione del rimpatrio dei rifugiati, il bilancio del
Paese, la decisione di febbraio sui confini e la sorte dei
dissidenti imprigionati.
Per un’opposizione
E' proprio da parte dei dissidenti (tutti
membri, si noti, dello stesso PFDJ), che giungono alcune fra
le voci più forti per una opposizione al governo: due dei
"reformers" esiliati, l'ex ministro per la difesa e
governatore della regione meridionale Mesfin Hagos e l'ex
ambasciatore Adhanom Gebremarian, sembra abbiano scritto una
lettera aperta all' Assemblea sollecitando i membri "di
non tacere" durante l'incontro.
L'accusa al presidente sarebbe quella di monopolizzare le
istituzioni del paese e di trasformarlo "in una grande
prigione”.
Dai siti web eritrei che danno voce all'opposizione si è poi
venuti a sapere che un gruppo politico si sarebbe staccato dal
FPDJ per formare un nuovo schieramento: l'EPLF-DP (Eritrean
People's Liberation Front-Democratic Party).
Rappresentanti del neonato partito (che sarebbero attualmente
in esilio) rinnovano le accuse dei "reformers" e ci
sono buoni motivi per pensare che i punti di contatto non si
esauriscano qui...
Secondo alcuni osservatori i dubbi sull'effettiva novità del
partito sono molti, già a partire dal nome scelto, che deriva
direttamente dal movimento che ha portato l'Eritrea
all'indipendenza del 1993 e dal quale è sorto proprio il PFDJ,
che ora si vuole contestare, in massima parte per la
degenerazione del governo di Afwerki. Dietro a tutto ci
sarebbe, dunque, di nuovo una personalità eminente come Mefis
Hagos, capo militare di spicco negli anni della lotta di
liberazione (oltre, come si è visto, ex governatore
regionale) che avrebbe dichiarato di voler tornare dal suo
esilio nonostante il governo eritreo gli abbia ritirato il
passaporto diplomatico.
Comunque vadano le cose con l'opposizione, sono in molti, in
questo momento, quelli che sembrano voler dare ogni priorità,
anche nell'ambito dell'Assemblea, al processo di pace e alla
definizione dei confini.
Nella speranza che questo significhi, una volta per tutte, la
pace, e non, invece, l'inizio di nuovi scontri.
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